Il metodo d'Educazione Musicale del Prof. EDGAR WILLEMS

Il Progetto per “Un’educazione al linguaggio musicale di base in Italia” ideato e varato dal CRDM è stato insignito di MEDAGLIA D’ARGENTO del Presidente della Repubblica Italiana con comunicazione del 5 marzo 2004.

Si invita a completare l’approfondimento dei contenuti della metodologia attraverso la lettura integrale delle opere del Prof. Edgar Willems.

  1. Questo metodo che si dedica all’educazione musicale e alla formazione dell’essere umano scaturisce da motivazioni filosofiche e psicologiche e pronuncia questi concetti fondamentali:
    • la consapevolezza che tra musica, essere umano e cosmo esista una stretta correlazione;
    • il rispetto profondo dell’ordine e delle leggi naturali e gerarchiche esistenti;
    • un itinerario d’intervento didattico che si fonda sull’essenza costitutiva degli elementi musicali (essenzialismo) e non esclusivamente sulle apparenze esteriori e superficiali (esistenzialismo o formalismo);
    • un itinerario di sviluppo che ricalca da vicino il procedimento della lingua materna.
  2. L’educazione musicale di base che prende spunto dai concetti più sopra enunciati si rivolge indistintamente a tutti i bambini, dotati o non dotati dall’età di circa 4 anni. Grazie alla sistematica e vitale formulazione degli atteggiamenti didattici si assicura lo sviluppo dell’orecchio musicale e di un preciso senso ritmico, entrambi importantissimi per un futuro studio del solfeggio, dello strumento o di qualsivoglia ulteriore disciplina musicale.
    Le basi psicologiche di una tale educazione non si esauriscono nei corsi di iniziazione musicale per bambini né nella successiva preparazione al solfeggio e allo strumento. Esse mantengono intatto il proprio valore educativo anche nell’insegnamento musicale scolastico ed oltre, che si tratti di attività vocale o strumentale, svolta professionalmente o amatorialmente.
    Esse esercitano un positivo influsso nell’educazione di bambini ritardati, portatori di handicap o invalidi.
    Le basi fondate sul ritmo “vivo” e sul suono “vivo”, con tutte le sue peculiarità, sono senza alcun dubbio importanti anche per la professione futura. Essi sono alla base di un’esecuzione strumentale “viva” e musicale, sono essenziali nello studio del solfeggio e dell’armonia elementare, consolidando notevolmente le più diverse funzioni mnemoniche che si instaurano sin dall’inizio dello studio sia nella raggiunta maturità musicale e pedagogica fino al più spinto virtuosismo, e infine, grazie alla plasticità ed allo slancio ottenuti fondendo ritmo, melodia ed armonia nell’improvvisazione, permettendo l’acquisizione di un minimo di autonomia creatrice.
  3. Dal punto di vista pedagogico fa riferimento alla globalità per tutto ciò che riguarda il rapporto vitale e al metodo analitico per quanto concerne lo sviluppo della consapevolezza.
  4. Stimola l’attiva partecipazione degli allievi e un atteggiamento metodologico sempre appropriato, che sono il presupposto indispensabile nel rapporto insegnante-allievo. Utilizza elementi tratti dalla natura e dall’esperienza vissuta, elementi che vanno dalla concretezza del suono alla sua stessa astrazione. Ciò favorisce il passaggio omogeneo dall’istintività alla consapevolezza per giungere, in seguito, agli automatismi.
  5. Esclude qualsiasi procedimento extramusicale, sia che lo stesso rappresenti un atteggiamento di fondo o semplicemente un punto di riferimento superficiale (utilizzo di colori, disegni, rappresentazioni di tonalità, storielle, giochi ecc.).
  6. Al contrario utilizza per sperimentazione diretta elementi esclusivamente tratti dalla musica (suono, movimento sonoro, spazio infratonale, pancromatismo, ritmo, intervalli, accordi, melodia, scala, canzoni ecc.):
    • ricco materiale uditivo che favorisce la conoscenza delle caratteristiche del suono (dal punto di vista sensoriale = percezione sonora puramente fisica ed affettivo = percezione sonora emozionale interiore) per lo sviluppo dell’orecchio musicale;
    • battiti per lo sviluppo del movimento e dell’istinto ritmico, che costituisce il fondamento della motricità vitale e del calcolo metrico;
    • canzoni, scelte in modo tale da favorire sia la sensibilità musicale sia il solfeggio così come la prassi strumentale;
    • un vocabolario musicale che sin dall’inizio, senza teorizzazioni, serve semplicemente ad indicare gli elementi musicali concreti e fondamentali: tono, intervallo, accordo, melodia, canzone, ritmo, tempo, nome delle note, ecc.;
    • la scala diatonica, in primo luogo, cioè la nostra attuale successione sonora ed in seguito il cromatismo, come anche i modi antichi, la pentatonalità, l’esatonalità ed altro. La nostra scala Maggiore viene considerata innanzitutto una successione di suoni e gradi e soprattutto un insieme di intervalli in rapporto con la tonica (e non un concatenamento di tetracordi diatonici di toni e semitoni);
    • tre simbologie fondamentali:
      • per i nomi delle note – do, re, mi, ecc.
      • per i gradi – I, II, III, ecc.
      • per gli intervalli – 1a, 2a, 3a, ecc.;
    • la scansione della misura. In modo naturale, ma in modo metodico, rifacendosi alla natura pendolare delle misure a movimenti pari (2, 4) e a quella rotatoria delle misure a movimenti dispari (3);
    • i movimenti naturali e caratteristici del corpo quali, ad esempio, il camminare regolare (marcia), la corsa, il saltello, il bilanciamento, il galoppo, il movimento rotatorio ecc. Essi hanno come riferimento diretto la musica stessa con lo scopo di acquisire il senso del tempo ed un marcato senso ritmico, esprimendo in modo naturale il senso musicale del proprio corpo, e cioè:
      1. in ambito fisiologico e plastico;
      2. in ambito espressivo;
  7. L’iniziazione musicale non è nè ginnastica, nè ritmica, nè tanto meno mimica o danza, e comunque non semplicemente cultura canora.
  8. Un solfeggio il cui sintetico programma d’insegnamento rispetta lo sviluppo dell’orecchio nel suo insieme fisiologico, affettivo e mentale della percezione sonora, parallelamente allo sviluppo di un senso ritmico che trae origine dalla vita stessa, sarà sempre musicale.
    Le canzoni, e soprattutto le canzoni d’intervallo, ricoprono un ruolo molto importante.
    Nella decodifica di un testo (dare un nome ai suoni) si esercita inizialmente la lettura in relatività, in seguito la lettura assoluta e al più presto possibile le due insieme.
    La scala Maggiore, la scala minore e in seguito altri sistemi tonali diventano oggetto di un lavoro qualitativo e quantitativo.
    Il dettato si fonda sulla memoria musicale, sull’ascolto interiore, sull’automatismo dei nomi delle note e sulla conoscenza dei valori ritmici.
    Si esercitano regolarmente sia l’improvvisazione ritmica sia quella melodica.
    La teoria musicale sarà avvicinata e presentata solo dopo che l’esperienza musicale sia stata effettivamente vissuta in modo istintivo, sensoriale ed affettivo.
    Non si confondano mai la conoscenza intellettuale della teoria musicale (etichettamento orale o scritto, indicazione formale e superficiale degli elementi più appariscenti del suono, del ritmo, della metrica, delle regole della composizione, della melodia, del contrappunto e dell’armonia) con il vero ascolto interiore, che nella giusta priorità dello sviluppo succede alla vera esperienza diretta, istintiva, sensoriale ed affettiva. Questo itinerario di sviluppo così artisticamente evidente e pedagogicamente importante, può venire schematizzato come segue:
    1. Vivere attivamente le esperienze musicali
    2. “Sentire” le stesse con sensibilità (= affettività)
    3. Conoscere, ciò che viene vissuto, e più tardi riviverlo con consapevolezza. Per un massimo di esperienza interiore ci serve, quindi, solo una quantità minima di teoria.
  9. L’insegnamento strumentale vive degli stessi principi fondamentali attribuendo un peso maggiore all’atto musicale piuttosto che prediligere un atteggiamento didattico prevalentemente strumentale e preferendo il “vissuto” alla perfezione formale.
    Suonare uno strumento richiede il contributo armonioso dell’intero essere umano e della sua vita interiore (dinamica, percezione sonora “il sensoriale”, sensibilità e intelligenza).
    L’atteggiamento del corpo, della mano e delle dita si identifica con le leggi vitali che regolano le condizioni di tensione e distensione. Sia il canto interiore sia la respirazione sono condizioni prioritarie nella prassi strumentale. Non si suona con le dita – cioè esteriormente, così come spesso si sente affermare – ma si trasmette “attraverso” le dita, che grazie alle terminazioni nervose ed al sistema muscolare, sono collegate all’udito, al senso ritmico e ai diversi centri cerebrali, sia per ciò che riguarda i suoni così come per il ritmo, gli accordi, i nomi delle note, ecc.
    La prassi strumentale compendia in sè 4 settori diversi, ma tra loro complementari:
    1. Suonare “ad orecchio”, nella ricerca e nella riproduzione di canzoni o musica ascoltata.
    2. Suonare leggendo da spartito, che può anche sfociare nella lettura a prima vista, ciò che implica capacità e conoscenza del solfeggio così come destrezza strumentale.
    3. L’esecuzione strumentale intesa nel senso di interpretazione della letteratura musicale classica in cui il suonare a memoria, successivo all’esecuzione con spartito, assume un posto elettivo. La scelta dei brani, o degli stessi studi atti al raggiungimento di particolare destrezza strumentale, fondamentale per la conqui-sta di un virtuosismo musicale ed artistico, avviene a misura di allievo e proporzionalmente agli obiettivi proposti, ponendo particolare attenzione a che, per ogni disciplina, non si dimentichino i valori intrinseci.L’improvvisazione, che rappresenta l’esternarsi di una situazione spirituale o di un suonare musicale poiché dà spazio alle possibilità strumentali (compresa la voce).
    4. L’improvvisazione deve essere esercitata fin dall’inizio e può cominciare nel bambino anche fin dal primo approccio strumentale attraverso piccole esperienze liberamente inventate.

Al posto della tecnica spesso superficiale ed esteriore, con il tempo, si concretizza un atteggiamento musicale che è necessario per attivare le fonti                   ritmiche vitali, rendendo palpabili le relazioni tra suono, melodia e armonia.
Questo atteggiamento sviluppa la musicalità, conserva lo slancio interiore; ed è soltanto la musica vissuta e sentita interiormente a permettere i                     progressi strumentali.
Viene attribuita grande importanza all’ordine dei suoni, del nome delle note, delle dita, della diteggiatura e della tastiera. Allo stesso modo ci si deve preoccupare di coordinare tra loro le diverse memorie musicali e strumentali.

Edgar Willems, nella sua opera scientifica e pedagogica ha indicato, quale traguardo, la creazione delle basi psicologiche per una educazione musicale in grado di arricchire l’essere umano e di favorirne lo sviluppo. L’uomo nasce con alcuni elementi fondamentali (di ordine fisico, percettivo e spirituale) che sono basilari per l’educazione musicale. Si tratta, quindi, di sviluppare queste forze in modo tale da renderle sufficienti per le necessità musicali. L’attitudine musicale deve venire risvegliata e sviluppata ponendo in primo piano il senso ritmico e la percezione uditiva interiore onde servire da fondamento per un idoneo itinerario educativo. Questa particolare metodologia si formula attraverso il collegamento tra gli elementi fondamentali della musica e la natura stessa dell’essere umano. Diventano obsoleti, quindi, per l’insegnante, metodi extramusicali che spesso appesantiscono inutilmente il subconscio dell’alunno quando invece non siano effettivamente d’ostacolo allo sviluppo libero degli impulsi naturali e dell’immaginazione uditiva.
Questa educazione musicale è rivolta a tutti i bambini. Essa può iniziare all’età di 4 anni. I corsi d’iniziazione musicale preparano all’effettivo insegnamento del solfeggio e dello strumento, così come all’apprendimento della teoria.

L’educazione dell’istinto ritmico, così come lo sviluppo attraverso i sensi, la sensibilità affettiva e la comprensione consapevole dell’udito, vengono sostenuti parallelamente con l’acquisizione di canzoni, ordinate secondo precisi parametri gerarchici sia artistici che pedagogici. I nomi delle note, utilizzati semplicemente come indicazione dei suoni, offrono ai principianti la possibilità di pervenire in modo sicuro e progressivo sia all’orecchio assoluto sia a quello relativo.

Partendo dalle basi psicologiche dell’educazione musicale, l’insegnante considererà il ritmo, la melodia e l’armonia come elementi costruttivi della musica che si propongono, nella vita, con la propria potenza creatrice.

L’improvvisazione e la composizione, in questo itinerario educativo, sono proposte in modo naturale. Liberata da regole formali, la musica di ogni tempo e provenienza si offrirà all’allievo in modo spontaneo; l’allievo, quindi, riceve una preparazione ed un’apertura anche alla musica del futuro.

L’orecchio musicale con la sua complessa natura e con la sua grande possibilità di sviluppo ha attirato sempre più su di sè, agli inizi del secolo, l’attenzione di educatori e di musicologi. Dalla messe di scritti sull’argomento citiamo: Max Batke, Die Erziehung des Tonsinnes, Berlino, 1905; Emile Jaques-Dalcroze, Cours de Solfège basé sur l’audition, depuis 1897; Carl Emil Seashore, The psychology of musical talent, Iowa, New York, 1919. È giusto ricordare anche il libro di Carl Stumpf, Tonpsychologie, 1883 e 1890.
Da sempre filosofi, artisti ed educatori si sono cimentati con il problema dell’orecchio musicale (Platone, Keplero, Comenius, Rameau, Rousseau, Pestalozzi, Schumann, Helmholtz), ma l’interesse per l’orecchio musicale è in effetti cresciuto nel XX secolo; ne sono testimonianza opere di pedagoghi, di musicologi e compositori. Anche gli insegnanti si sono convinti dell’importanza dell’orecchio in rapporto all’attitudine musicale; ma ve ne sono pochi che hanno cercato di sviluppare l’orecchio musicale. La scarsa conoscenza della natura della capacità uditiva e la carenza di letteratura idonea sui metodi moderni dell’educazione uditiva ne sono la causa. Lo sviluppo della musica richiede ai nostri tempi una tale capacità di differenziazione uditiva da non permetterci più oltre di trastullarci con esperimenti empirici. Ciò pone, infatti, il problema di fare rientrare l’orecchio musicale in un’attenzione ben più profonda e mirata studiandone il fenomeno in stretto rapporto con la natura stessa dell’essere umano e delle sue capacità espressive.

Bisogna considerare che nell’orecchio musicale esistono tre diverse importanti funzioni, attività che vanno seguite in ciascun allievo in tutti gli stadi evolutivi separatamente, ma che spesso sono tra loro strettamente unite. Il didatta deve sapere come favorire lo sviluppo della funzione globale dell’orecchio musicale, ma anche come intervenire sulle singole funzioni che ne costituiscono l’unità. Non ultima, la considerazione di quanto individualmente le stesse differiscano in ciascun allievo.

Queste tre attività sono: la sensorialità uditiva, l’affettività uditiva e l’ascolto analitico e consapevole. In verità si dovrebbero utilizzare tre diversi vocaboli per indicare queste tre funzioni. Purtroppo nelle diverse lingue non esiste sufficiente precisione a questo proposito. Possiamo indicare con la parola udire (verbo oggi poco usato) l’atto sensoriale della percezione uditiva attraverso l’organo stesso; per la reazione affettiva possiamo adoperare il verbo ascoltare; in questo caso ci si interessa al suono, ai rapporti sonori, alla canzone, essi ci piacciono o non ci piacciono, ascoltando si prova qualcosa; per la terza funzione, quella mentale, quella consapevole, possiamo dire effettivamente sentire: intendendo che so che cosa ho ascoltato. Naturalmente si usa lo stesso verbo anche correntemente per l’atto uditivo universale! Ci accorgiamo quanto poco la lingua si adegui alle esigenze dell’atteggiamento psicologico. Ciò costituisce, per la pedagogia, allo stesso tempo sia una difficoltà che un pericolo.

Le tre funzioni dell’audizione condizionano l’atteggiamento dell’insegnante e le diverse possibilità di sviluppo dell’orecchio nel suo aspetto sensoriale, affettivo ed intellettivo della percezione. A seconda del temperamento individuale, della cultura musicale e del comportamento umano dell’allievo nei confronti del fenomeno uditivo si evidenzierà la personale predisposizione o meno alla musica. L’insegnamento della musica è oggi di natura fin troppo intellettuale e lascia poco spazio all’educazione uditiva sensoriale ed affettiva.

Lo sviluppo uditivo mentale costituisce ormai la formula più divulgata giacché l’intera funzione educativa si basa fondamentalmente sull’intellettualizzazione. Purtroppo anche la musica viene insegnata spesso in una forma intellettuale; alcuni studenti pensano di studiare la musica come le lingue, la matematica o la geografia. Certo che la musica va letta e scritta: questo è un dato di fatto! e va studiata anche la teoria, ma tutto questo va messo in relazione con la vita musicale, con il ritmo e con l’orecchio musicale; e questi ultimi non sono di natura intellettuale. Fortunatamente la maggioranza dei moderni pedagoghi si schiera contro l’intellettualismo. Ma anche se risulta molto facile guidare i musicisti verso una effettiva attività musicale (suonare e cantare), è già più difficile trovare la strada giusta per condurre gli allievi attraverso un cantare e suonare empirico verso un’attività consapevole.

Spesso le conoscenze astratte non vengono sufficientemente valorizzate, così accade ad esempio, quando nel nome della psicologia della globalità si formulano dirette associazioni tra l’orecchio ed il viso o l’udito e la sensibilità, in cui gli astratti nomi delle note o i gradi della scala costituiscono gli unici elementi di congiunzione. La sensorialità va esercitata, ma nei limiti della sua stessa natura. I nomi delle note dovrebbero trovare il loro utilizzo sin dall’inizio ma non in forma o veste teorica bensì semplicemente come indicazione, così come il bambino dice parole come papà, mamma, mela, ecc.

L’educazione affettiva si esplica genericamente in modo empirico attraverso il canto e la prassi strumentale soprattutto quando la stessa si basa sulla relatività uditiva, funzione particolarmente adatta a svilupparla. Troppo raramente ci si imbatte in una educazione affettiva sistematicamente sviluppata ed arricchita, ad esempio per quanto riguarda gli intervalli e gli accordi. Ora però gli intervalli e gli accordi possono per così dire essere considerati le sillabe e le parole della musica. Per la scarsa conoscenza della varia natura degli intervalli se ne inibisce largamente lo studio. Uno stesso intervallo può avere diverse nature, a seconda, se viene utilizzato melodicamente o armonicamente. Esso possiede un valore quantitativo (distanza in numero di gradi) e uno qualitativo (consonanza ecc.). Un intervallo può essere positivo o negativo.

Nell’accordo Do-Mi-Sol ad esempio, Do-Sol e Do-Mi sono positivi, essi determinano il carattere dell’accordo; Mi-Sol al contrario è negativo. Gli intervalli si differenziano, a seconda del loro posto, anche all’interno di una stessa tonalità. Le terze Maggiori Do-Mi, Fa-La e Sol-Si assumono valori diversi nella tonalità di Do Maggiore. Anche tonalmente o atonalmente lo stesso intervallo ha significati e valori diversi. Solo per mezzo della sensibilità affettiva si possono riconoscere le tre diverse intonazioni sonore ed utilizzarle appropriatamente: l’intonazione naturale, che si fonda sulle leggi della fisica (quinte giuste); l’intonazione artistica o espressiva, che amplifica la differenziazione ad esempio tra un do diesis ed un re bemolle attribuendo a ciascuno una propria tendenza sonora; l’intonazione temperata che si rifa al pianoforte.

L’educazione sensoriale è tutt’oggi la più sconosciuta e la meno curata, anche se all’inizio dell’educazione trova il suo giusto posto, quando cioè il bambino si trova in uno stadio ancora fondamentalmente sensoriale. L’educazione sensoriale dell’orecchio musicale è ancora in uno stadio iniziale giacché vi è carenza, in questo settore, di conoscenze psicologiche.

Manca, parallelamente, l’iniziativa del pedagogo nella ricerca di materiale sonoro adeguato; ciò si deve alla scarsa conoscenza della natura stessa del suono oltre che a mancanza d’iniziativa, come d’altronde spesso si può osservare nell’ambito dell’insegnamento. Alcuni giovani insegnanti cercano ricette pronte e preconfezionate o materiale che si possa comperare. Anche l’improvvisazione sempre viva, che spesso scaturisce spontaneamente dagli stessi allievi o dal suono stesso, viene a mancare nelle loro lezioni. Il suono, nella sua veste di elemento premusicale scavalca abbondantemente i confini della musica. La sensorialità, la funzionalità dei sensi che stimola particolarmente l’essere umano, costituisce un elemento fisiologico che è alla base dell’affettività. Nè il suono nè il ritmo, nelle loro vesti di elementi premusicali sono ancora musica. Dobbiamo forse per questo trascurarli? Certamente no, giacché entrambi si rivolgono alla globalità dell’essere umano. La musica deve essere innanzitutto vita e non una specialità. La musica va fatta nascere, non va fabbricata.

L’ascolto può, dal punto di vista sensoriale, venire risvegliato e sviluppato. Insieme al canto, che indubbiamente occupa il primo posto, ed al ritmo, elemento imprescindibile della musica, l’educazione dell’orecchio musicale può iniziare già nella scuola materna. Più tardi dovrebbe trovare uno spazio importante in ogni stadio dello sviluppo musicale, e ciò fino alle classi più avanzate. Tutto questo risulta tanto più importante quanto maggiore significato vanno assumendo i valori sensoriali nell’ambito della musica moderna.

Il materiale indispensabile all’educazione dell’orecchio musicale anche secondo la psicologia sperimentale, oltre agli strumenti normali, si identifica soprattutto con tutto ciò che è in grado di suonare, e riguarda l’ascolto, il riconoscimento, l’appaiamento, l’imitazione, la classificazione: innumerevoli campanelle, sonagli, animaletti di gomma, fischietti, richiami d’uccelli, bastoncini di legno, piastre metalliche, oggetti sonori presi dalla natura o dalla cucina ecc.); ci si serve anche di strumenti piccoli quali: xilofono, metallofono, glockenspiel, flauto, ecc.; per il riconoscimento del movimento sonoro, elemento importante nella prassi musicale e spesso non sviluppato adeguatamente e consolidato, flauto di Pan, flauto a stantuffo, flauto di Pan infratonale, sirena, xilofono ecc.; per l’imitazione di due o più suoni simultanei: segnali sportivi, campane, legnetti oppure oggetti di suono diverso, trottole sonore; lo studio degli intervalli, accordi, lo studio delle diverse scale, ecc.

Una buona sensorialità musicale incentiva l’ascolto interiore, sia quello assoluto sia quello relativo ed anche la memoria musicale, la raffinatezza dell’intonazione e la consapevolezza armonica. Per concludere, si può dire che la capacità percettiva di un ottavo di tono normalmente permette il riconoscimento distinto di due suoni concomitanti, il sedicesimo di tono, di tre suoni, il ventiquattresimo di tono o il cinquantesimo di tono, di quattro suoni concomitanti e così via. Un orecchio affinato può arrivare alla percezione del centesimo e del duecentesimo di tono, oggi considerato il limite massimo dell’orecchio.

È possibile che le funzioni uditive di cui abbiamo parlato, funzionino separatamente, oppure che una funzione sia preponderante sulle altre. Tra l’altro queste funzioni possono anche influenzarsi negativamente.

Nell’ambito dello sviluppo stesso della musica e dell’essere umano si può riconoscere la necessità o il vantaggio della preponderanza di una specifica funzione sulle altre – almeno nell’ambito di un preciso lasso di tempo o di una epoca storica. In questo modo il problema pedagogico assume un doppio volto. Intraprendendo uno studio ravvicinato delle proprietà caratteristiche delle tre funzioni presentate innanzi, si deve considerare sempre la globalità del fenomeno uditivo che scaturisce da una unità vitale e da una maturità umana il cui valore irrazionale di gran lunga oltrepassa le nostre capacità intellettuali di comprensione.

L’educazione uditiva deve arricchire il lavoro del pedagogo e facilitarne l’ulteriore crescita poiché essa tende ad acuire le facoltà innate. Essa deve rimanere legata ad un ambito strettamente musicale senza mezzi extramusicali o banali facilitazioni, come oggi invece molti adottano. Si devono, per quanto possibile, evitare associazioni mentali dubbie; anche se le stesse tendono a promuovere risultati veloci, le stesse possono essere inibitrici in altri ambiti di sviluppo. L’educazione uditiva deve fare della musica un’Arte sempre più profondamente umana, molto più di quanto fino ad ora è stata considerata, spaziando finalmente in un ambito molto più vasto, che vada dalle più ampie esperienze di contatto con un materiale sonoro altamente diversificato fino a giungere alla conquista di tutti i tipi di linguaggi, liberandosi progressivamente dalla esclusiva sensibilità tonale classica.

Il materiale sonoro è pieno di misteri e ricco di possibilità creative. L’educazione uditiva ci deve aiutare a scoprire e ad approfondire le leggi dell’evoluzione nell’ambito stesso della musica. Tale legge potrebbe essere così enunciata: innanzitutto vivere, in seguito si prenda consapevolezza dei fenomeni vitali, e poi si viva consapevolmente.

Dall’iniziazione musicale al solfeggio vivo – Jacques Chapuis

Durante la prima guerra mondiale Edgar Willems ebbe a Bruxelles la sua visione da cui nacque la ferma convinzione di dedicare la propria vita, come riportato nel libro “Sulle orme di Edgar Willems”, alla ricerca, alla pedagogia e alla concezione di una nuova forma d’educazione musicale; un’opera ed una attività profondamente umana e particolarmente adatta all’epoca in cui viviamo.

La sintesi che qui presentiamo è lontana dal momento della scintilla iniziale. Essa è il risultato di più di vent’anni di comune esperienza con bambini di ogni età (dai tre anni in su), con adolescenti e adulti (studenti e professori) di numerosi paesi. Questa sintesi è intesa come visione generale, è un panorama di questo ricco materiale scritto in forma di uno schema di lavoro sperimentato, in grado di fornire risposte a molte domande che spesso si cristallizzano nel corso del lavoro giornaliero di tutti quei professori che sono alle faticose prese con l’insegnamento propedeutico e con l’insegnamento del solfeggio.

Come si sa, il concetto willemsiano non parte nè dal materiale d’insegnamento nè dallo strumento musicale, bensì in primo luogo dai fondamenti della vita, da quei fondamenti che uniscono la musica all’esistenza umana poichè viene innanzitutto evidenziato ciò che per natura è già preesistente: all’inizio questo è rappresentato dal movimento naturale del corpo e dalla voce. Il materiale sonoro e gli strumenti consigliati costituiscono i mezzi pre musicali o musicali. Essi non si trasformano mai in obiettivi, come spesso succede, ma rimangono circoscritti all’iniziazione ed alle fasi preparatorie dell’educazione musicale.

Il professore, che segue attentamente la partecipazione attiva e creativa dell’allievo è chiamato non certo a gestire una serie di esteriori e superficiali esercizi, bensì, muovendosi agevolmente tra qualità sonore, ritmi e melodie della musica primitiva, classica o moderna con le sue relative armonie, canzoni e movimenti naturali del corpo, a risvegliare con vitalità nei bambini ed in se stesso tutte le facoltà espressive della vita e ad armonizzarle. Il suo atteggiamento verso le leggi che regnano sulla vita e sulla musica, lo slancio nel continuare a coltivarle in se stesso, il suo buon esempio, la qualità del contatto umano che saprà instaurare e il suo carisma saranno decisivi, anche quando, comprensibilmente soprattutto agli inizi della carriera d’insegnante, in balia dei propri dubbi ed inesperienze, anche se passeggere, mancherà di fiducia in se stesso. Anche quando crederà di aver raggiunto una sua solida consapevolezza, continuerà a perfezionarsi e a completarsi, capirà che nel corso di ciascuna lezione data c’è spazio per una consapevolezza in più ed una ulteriore comprensione nel contatto con gli elementi fondamentali della musica. Inoltre, anche lui come tutti gli educatori ed artisti ha bisogno di punti di riferimento ideali qualificati, in grado di fornire informazioni dettagliate e paragoni d’approfondimento qualitativo e operativo a sua volta portatore di conforto e sprone in questo tempo di delirio intellettuale che si contrappone ad un altrettanto pericoloso atteggiamento ipermaterialista e che inibisce pericolosamente la partecipazione attiva dell’uomo, il suo sensibile dinamismo, la sua spontaneità, la sua intelligenza equilibratrice e normalizzatrice deturpandone anche le capacità intuitive e creative. E tutto questo soggiace alle mode di passaggio ed a nebulose ideologie.

Chi segue la metodologia, non può esimersi dallo studio approfondito delle opere di Willems nè prescindere dal lavoro successivo, frutto di un’ulteriore iniziativa e ricerca personale. Questa è la terza considerazione di questo tipo nel nostro panorama. Esso rappresenta un piano progressivo attraverso diversi gradi pedagogici. Esso rende possibile all’educatore il consolidamento e l’ampliamento giornaliero, nell’ambito delle lezioni pratiche, della propria esperienza prescindendo da ciò che si è raggiunto fino a quel momento. Può inoltre qui trovare un aiuto nella stesura del piano giornaliero di lavoro, così come nei diversi ambiti della lezione (A-B-C-D, ovvero ascolto – ritmo – canzoni – movimenti).

Per essere ancora più chiari, si tratta di una proposta flessibile attraverso gradi evolutivi e non di una suddivisione schematica per età. La soluzione ideale sarebbe rappresentata dall’attuazione del primo grado con allievi di età compresa tra i 3 ed i 4 anni, del secondo grado tra i 4 ed 5 anni, il terzo grado tra i 5 ed i 6 anni e il quarto grado tra i 6 ed i 7. È veramente realizzabile. Viene praticata in alcune scuole materne ed in alcune scuole elementari. Quando però sussiste eterogeneità nella classe, allora è indispensabile che il didatta sia perfettamente padrone di tutto il contenuto educativo e lo sappia circostanziatamente adoperare nell’immenso insieme di complessità operativa che la situazione gli impone. In ogni modo sta a lui riconoscere individualmente e indipendentemente dall’età fisica del bambino quale atteggiamento e quale ritmo educativo intraprendere nelle singole situazioni, nel pieno rispetto delle priorità dell’educazione musicale indicate da Edgar Willems.

Edgar Willems nacque in Belgio nel 1890. Conclusi i suoi studi all'”École Normale” si dedicò inizialmente alla pittura e frequentò l'”École des Beaux-Arts” di Bruxelles. La musica, comunque, ha esercitato su di lui, sin dall’infanzia, un enorme fascino tanto che egli si dedicò per anni, da autodidatta, all’acquisizione di tecniche e di teorie che gli permettessero di entrare sempre più a fondo nel vasto mondo della musica.
In occasione di un Congresso a Omnen (Olanda) nel 1925, rimase talmente colpito da una relazione riguardante l’improvvisazione nella musica e nelle arti figurative che, come per una visione, pensò di dedicarsi e di dare una impronta significativa allo sviluppo della pedagogia della musica. Dopo aver concluso al Conservatorio di Musica di Ginevra gli studi musicali iniziati da autodidatta, vi insegnò dal 1927 filosofia e psicologia della musica. Nel 1928 fu nominato professore di “Solfège”. Si rese conto che l’educazione musicale avrebbe dovuto rispecchiare maggiormente l’ambiente vitale e che la moderna psicologia avrebbe dovuto riconoscere in essa, più di quanto avvenne in passato, le basi delle proprie considerazioni. Scrisse perciò diversi libri e si preoccupò di divulgare i propri metodi sull’educazione musicale in diverse nazioni organizzando numerose conferenze e corsi informativi con temi quali: introduzione all’educazione musicale per bambini (dal terzo e quarto anno di vita); la preparazione allo studio del solfeggio; lo studio del pianoforte; l’improvvisazione e la musicoterapia.

Nel 1934 apparve la sua prima pubblicazione con il titolo “Nuove idee filosofiche sulla musica e le sue applicazioni pratiche”. In esso sono contenuti i criteri fondamentali e le basi della sua vasta opera pedagogica e scientifica. Willems parte direttamente dalla musica stessa per la formulazione delle proprie idee rimanendo lontano da riflessioni metafisiche e da speculazioni intellettuali. Egli scopre le affinità psicologiche che la rendono così vicina alla consapevolezza dell’IO nell’uomo e dimostra le concordanze tra musica e ciascun essere che oggi vengono confermate dagli stessi studiosi di fenomenologia.

Il ritmo, la melodia e l’armonia rappresentano rispettivamente la natura fisiologica, affettiva e mentale dell’uomo. Questi tre elementi fondamentali possono essere schematicamente rappresentati e disposti tra un polo materiale ed un polo spirituale (materia – spirito) identificando da un lato la fonte che viene messa in vibrazione (corde, colonne d’aria, membrane ecc.), dall’altro lato l’opera musicale.

Partendo da questi concetti fondamentali e soprattutto dal rapporto tra musicalità e umanità quale base di qualunque atto creativo in qualsiasi ambito vitale, Edgar Willems costruì un metodo d’educazione musicale perfettamente idoneo non solo a dimostrare la potenziale presenza della musicalità in ogni uomo (la vita armonica), ma anche a risvegliarla e a stimolarla fin dalla primissima infanzia. Senza altri mezzi al di fuori della “sola” musica, questo metodo permette la formazione e la conservazione dell’orecchio musicale e la fedele comprensione di qualsiasi sequenza ritmica e facilita sia lo studio del solfeggio (= teoria musicale elementare sulla base della solmisazione) sia lo studio strumentale in modo estremamente naturale. Willems, per lunghi anni, si è occupato dell’educazione musicale precoce e dell’utilizzo terapeutico della musica a favore di bambini, ragazzi e adulti con handicap.

La propria enorme esperienza nel campo dell’educazione uditiva e della direzione corale lo spinse a scrivere un’opera in due volumi intitolata “L’orecchio musicale”, volumi che furono pubblicati rispettivamente nel 1940 e nel 1946.

  1. “L’Éducation Musicale Nouvelle”
  2. “Le Jazz ou l’Oreille Musicale”
  3. “La préparation musicale des tout-petits”
  4. “Le Rythme Musicale”
  5. “L’Introduction à la Musicothérapie”
  6. “Les bases psycologiques de l’Éducation Musicale”
  7. “La valeur humaine de l’Éducation Musicale”

Willems, inoltre, per quei pedagoghi che desiderano applicare le regole ed i principi da lui elaborati, scrisse una serie di “Quaderni Pedagogici”, adatti a guidare all’introduzione dell’educazione musicale elementare nei bambini, all’impiego dei movimenti naturali del corpo con particolare attenzione per la sensibilità ai cambiamenti di ritmo e di tempo e quindi agli inizi dell’insegnamento del solfeggio e del pianoforte. Poco prima di morire scrisse e pubblicò il libro “Livre de Solfège élémentaire”.

Tra i vari materiali sonori adoperati e inventati da Edgar Willems si devono senza dubbio porre in evidenza gli strumenti che utilizzano anche gli spazi infratonali (in stretta relazione con l’attuale sviluppo musicale): una serie di campanelle suddivise fino al trentesimo di tono; l’Audiometro ed il Sonometro fino al 200mo di tono ed il flauto di Pan infratonale.

Con l’Audiocultor è possibile esercitare la propria percezione uditiva e quindi acquisire consapevolezza nella determinazione di intervalli ed accordi. La ricerca di un affinamento nella percezione uditiva e riproduzione vocale di suoni in ambito infratonale, da cui la naturale esigenza di inserimento fra i principi di crescita musicale decisamente innovativi per la tradizione pedagogica musicale, lo hanno spinto a realizzare la costruzione di un carillon microcromatico (suddiviso in quarti di tono nell’ambito di un’ottava) e di un carillon infratonale accordato per toni interi, semitoni, terzi, quarti e noni di tono (comma pitagorico) e diciottesimi di tono (ulteriore suddivisione del comma pitagorico).

1º Grado – Iniziazione musicale elementare. Carattere introduttivo. Scoperta ed esplorazione del mondo sonoro.
2º Grado – Iniziazione musicale elementare. Carattere evoluto. Consapevolezza per le esperienze vissute nel 1° Grado. Le grafie.
3º Grado – Iniziazione propedeutica al solfeggio ed allo strumento. Approccio alla lettura ed alla scrittura musicali. La polifonia.
4º Grado – Solfeggio “vivo”. Alfabetizzazione musicale completa. Dalla lettura a prima vista alla composizione musicale.
Non si tratta comunque di una suddivisione esatta secondo età o anni di studio, bensì di una attribuzione elastica ed adattabile dell’attività didattica a 4 gradi di intervento.

1º Grado – Da 3 a 4 anni
2º Grado – Da 4 a 5 anni
3º Grado – Da 5 a 6 anni (in poi…)
4º Grado – Da 6 a 7 anni (in poi…)

È importante che ciascun docente conosca la metodologia nella sua completezza per meglio gestire l’intero sviluppo dell’educazione musicale e poterne valutare accuratamente e consapevolmente i diversi momenti d’intervento didattico.